“ Contro ogni legge di natura, il bambino fu estratto vivo dal seno aperto di sua madre” (Liturgia); perciò fu soprannominato nonnato. Il lieto e, nello stesso tempo, tragico evento, ebbe luogo in Portell (Catalogna), il 2 febbraio dell’anno 1200.
Non nato come tutti gli altri, ma nato con un prodigio del Signore che si servì della spada di un rude soldato, per dare al mondo un soldato della fede, un eroe della carità.
Il bambino, battezzato lo stesso giorno, cominciò a crescere molto bene, si mostrò vivace e intelligente e molto interessato ai problemi dello spirito.
Lui che non ebbe la gioia di una madre terrena, sin dalla prima età si affidò alla madre celeste: “Altra madre non conobbe, né amò, che la Beata Vergine. Da ciò nacque in lui vivissima la brama di rendersi religioso mercedario”.

La sua vocazione si manifestò sin dalla prima giovinezza. Incontrò degli ostacoli per la realizzazione del suo desiderio ma, alla fine, realizzò il sogno che, peraltro, era volontà di Dio.
“Attraverso Maria, Raimondo capì che sarebbe stata cosa graditissima a Lei, se avesse abbracciato la vita religiosa nell’Ordine della Mercede.…. Si avviò verso Barcellona ed entrò in quell’Istituto così eccellente per quanto riguarda l’amore verso il prossimo” (Liturgia).
Era l’anno 1221. Suo primo maestro fu San Pietro Nolasco, il fondatore. Suo compagno di noviziato e, in seguito, anche maestro, fu San Serapio, il glorioso cavaliere, martire della fede,” religioso di straordinaria virtù e santità”.
Dopo la professione, fatta alla presenza di fra Bernardo di Corbara, in considerazione degli straordinari progressi spirituali e culturali, fu avviato al sacerdozio.
Nel 1226 fu designato con San Serapio, per compiere una redenzione. Dopo aver superato enormi difficoltà, liberarono 114 schiavi. Nel 1229, in compagnia del suo vecchio maestro, realizzò un’altra redenzione (150 schiavi liberati) e poi, un’altra ancora, nel 1232 con 228 fratelli liberati. Durante il viaggio di ritorno, il cattivo comportamento di alcuni degli schiavi liberati, provocò un putiferio, cui si aggiunse una terribile burrasca che mise in pericolo la vita di tutti. Le preghiere dei due santi e degli stessi schiavi, riportarono la calma nel mare e negli animi di tutti. A Barcellona furono accolti con grande gioia.
Stando in Barcellona esercitò, con molto profitto, il ministero sacerdotale.
Fu inviato, poi, a Roma, in veste di procuratore dell’Ordine, per risolvere alcuni problemi riguardanti la famiglia mercedaria. Il papa Gregorio IX, rimase affascinato dalla santità e dalla scienza di Raimondo, anche perché, era giunto ai suoi orecchi l’eco delle sue eroiche imprese redentrici.
L’ultima sua redenzione risale al 1236, in Algeri. Furono liberati molti schiavi; lui rimase in ostaggio per poterne liberare un numero maggiore.
Schiavo tra gli schiavi, cominciò un’opera di intensa predicazione che portò alla conversione di molti maomettani e al consolidamento della fede vacillante di tanti schiavi. Per impedirgli di parlare, gli serrarono le labbra con un lucchetto ma ottennero l’effetto contrario in quanto lui continuò a parlare e le conversioni si moltiplicarono. Fu sottoposto a maltrattamenti, torture e sevizie di ogni genere, finché non arrivarono i suoi confratelli per liberarlo.
Gregorio IX, avuto sentore di tutto questo e “volendo esaltare la porpora romana con lo splendore dell’insigne santità di Raimondo, lo nominò Cardinale Diacono di Sant’Eustachio, nel 1237” (Mon. Valenzuela). Come atto di obbedienza, il papa gli impose di accettare la nomina.
L’alta onorificenza ricevuta non mutò il suo tenore di vita. Continuò ad essere quello di prima e di sempre.
Chiamato a Roma dal papa che lo voleva presso di sé come consigliere, si mise in cammino ma una terribile febbre pose termine al sua viaggio. Morì il 31 agosto 1340. Fatti prodigiosi accompagnarono la sua morte. Sulla sua tomba sorse, poi, un grandioso santuario.
Papa Alessandro VII, il 7 agosto 1657 inserì il suo nome nel martirologio romano e Innocenzo XI, il 10 marzo 1681, estese la sua festa a tutta la Chiesa.